riflessi etici

prospettive cristiane sull'attualità

  • L’avventura continua…

    Dal primo novembre 2011 biblicamente diventa Riflessi etici. Cambiano il nome e il formato grafico, ma l’obiettivo del progetto – dal 2005 – resta lo stesso: cogliere nell'attualità i riflessi etici che emergono dai fatti, dai commenti, dalle proposte, dalle speranze di chi ci sta attorno. Rispecchiando valori che vale la pena di riscoprire pienamente e vivere con coerenza.

    Vi aspetto su riflessietici.wordpress.com

Posts Tagged ‘posizione’

Le responsabilità della libertà

Posted by pj su 27 agosto 2010

Ormai era nell’aria e, nonostante le contestazioni dell’ultimo minuto e le manovre di qualche pio illuso, non poteva che finire così: il Sinodo valdese, riunito a Torre Pellice, ha votato sì al riconoscimento della benedizione per le coppie gay.

Una decisione che un gruppetto minoritario aveva tentato di evitare nelle ultime settimane, con un appello pubblico al Sinodo affinché ritrovasse la fedeltà alla secolare Confessione di fede valdese e, per quanto possa sembrare scontato, al vangelo, evitando decisioni destinate ad allontanare i valdesi dalle altre realtà evangeliche.
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La crisi del volontariato

Posted by pj su 21 giugno 2010

L’altruismo sta morendo. A segnalarlo è Riccardo Bonacina, direttore editoriale di Vita Magazine, che in un intervento sul Corriere della Sera lamenta un dato preoccupante: negli ultimi tre anni il numero di coloro che si dedicano al volontariato è diminuito del 10%.

Un crollo che si spiega con l’assenza di una politica adeguata da parte delle autorità preposte, una linea capace di valorizzare l’impegno di chi dedica il suo tempo ai bisognosi, incoraggiando altri a seguirne l’esempio. Ma non solo.

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Una bugia di troppo

Posted by pj su 1 giugno 2010

Mentire aiuta a fare carriera: come spesso capita in un’epoca di confusione, ci vuole una ricerca di carattere scientifico per una constatazione banale.

Il Financial Times, nientemeno, riporta una teoria lanciata dalla Harvard Business Review, sancendo che “chi sa mentire arriva più facilmente al successo perché è più intelligente”.

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Telecomandi e telecomandati

Posted by pj su 18 dicembre 2009

Gli adolescenti che esagerano con tv e internet sono più problematici degli altri: lo rivela una ricerca della Società italiana di pediatria, che nei giorni scorsi ha reso pubblici i risultati di un’indagine condotta su 1300 studenti tra i 12 e i 14 anni.

Se Internet, con i suoi social network, i messaggi istantanei e le chat, è ormai un must per i teenager, la tv è tornata in auge dopo un periodo di minore attenzione: i ragazzi navigano in rete e si fanno compagnia con la tv. Ma non, come si potrebbe pensare, mentre chattano con gli amici: la televisione, per la maggior parte di loro, si accende alla sera, a cena. Quando, probabilmente, sono lasciati soli da genitori troppo presi dal lavoro, o sono in loro compagnia ma hanno, evidentemente, poco da dire e all’assordante silenzio di una tavola senza parole preferiscono lo sciapo sottofondo di un programma.

Un quadro sconsolante, che offre alcuni dati interessanti. Internet, ormai, è il mezzo di interazione più gettonato, ma la televisione resta ben presente nel loro immaginario: la guardano a cena, ma anche direttamente sullo schermo del pc, attraverso i filmati che quasi tutti scaricano dalla rete.

Se per loro la rete è il mondo di relazione, la televisione è maestra di vita: attraverso i suoi programmi assorbono valori e trovano battaglie da combattere, atteggiamenti da sostenere, mode da seguire, guru da ascoltare, personaggi da imitare.

Se il consumo resta nella modica quantità, la televisione sarà solo una delle voci, e attraverso il confronto i ragazzi potranno trovare una posizione equilibrata. Quando però la fruizione deborda oltre il buonsenso e la televisione diventa l’unica voce, il suo universo invade l’immaginario dello spettatore: può succederci allora di fare nostri i suoi valori, di chiamare i personaggi televisivi per nome, di scambiare gli amici con i protagonisti dei talk show, di dare credito a chi non lo merita, di crearci un mondo di immagini, egoismi e consumi dove le parole d’ordine sono “prenditi cura di te”, “tutto intorno a te”, “perché io valgo”, e via degradando.

Si fa presto a dire “a me non succede”, “posso smettere quando voglio”. La dipendenza è sempre in agguato e il rischio, ancora più grave in quanto subdolo, non è di perdere la salute, ma la consapevolezza di ciò che conta. Che, a ben guardare, è anche peggio.

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Islamicamente scorretto

Posted by pj su 18 novembre 2009

Siamo convinti che l’islam sia una cosa seria. Davvero: l’islam è una religione plurisecolare con le sue regole, le sue interpretazioni, le sue sette, le sue correnti, e (purtroppo) i suoi estremismi. Questo non significa, naturalmente, condividerne il messaggio: significa semplicemente rispettare chi ci vive vicino e ha una cultura, una religione, una sensibilità diversa dalla nostra.

Per questo ci siamo stupiti. Abbiamo visto ridicolizzare l’islam da parte di un suo autorevole esponente. Gheddafi, a Roma, ha voluto spiegare i dettami di Maometto a un gruppo di persone: persone selezionate per sesso, misure e aspetto fisico. Dovevano essere di bell’aspetto, alte almeno un metro e 75 centimetri, portare la taglia 42. Sul piano metodologico non c’è niente di strano, conoscendo le bizzarrie di un personaggio cui è concesso per convenzione di fare il bello e il cattivo tempo.

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Buoni o cattivi

Posted by pj su 3 settembre 2009

«Aggredito e picchiato per sette volte in dodici anni al grido di “colono” e “cane bianco”, impossibilitato a trovare lavoro a causa delle quote riservate ai neri e senza fiducia nelle autorità. E, da pochi giorni, rifugiato politico in Canada perché perseguitato nel Sudafrica multirazziale di oggi».

Una vicenda curiosa che viene raccontata oggi dalla Stampa e che fa scalpore: un bianco che subisce un trattamento razzista, nel nostro immaginario, ricorda il classico esempio dell’uomo che morde il cane.

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Rissa continua

Posted by pj su 20 aprile 2009

Il Corriere segnala che l’associazione Comunicazione perbene «ha monitorato le reti nazionali per individuare che spazio hanno litigi e risse nei programmi tv quotidiani. Secondo l’analisi ogni 8-10 minuti su uno dei principali canali, si può ascoltare un insulto oppure vedere un dibattito che diventa rissa verbale o che si trasforma in lite. Il tutto aggravato dal fatto, come evidenzia il 75% degli esperti, che questo avviene anche in fascia protetta».

Nello specifico, le categorie a maggiore rischio sono «i reality show e i talent show, dove la rissa sembra sia un vero e proprio ingrediente: in media una ogni 8 minuti di trasmissione».

A seguire, in termini di rissosità, i talk show e i programmi di informazione: «la rissa è per lo più verbale e immancabilmente scoppia ogni 10-11 minuti di trasmissione».

In questa speciale classifica si piazzano solo in terza posizione «quelle trasmissioni che un tempo erano considerate il simbolo della rissa tv: le trasmissioni sportive. In media qui scoppia ogni 12-15 minuti e per la maggior parte si tratta di sopraffazione verbale, seguita da accuse e insulti personali».

In coda «i programmi di intrattenimento, soprattutto i contenitori domenicali, dove la rissa scoppia ogni 18-20 minuti».

Sui reality, nulla quaestio: spesso il genere raccoglie appositamente personaggi invadenti, maleducati, scontrosi, e il carattere dei singoli viene selezionato in maniera da stabilire dinamiche di scontro. Naturalmente i programmi che riassumono le giornate dei nullafacenti puntano a proporre i momenti più significativi, ed è inevitabile che questo alzi la frequenza della rissosità.

In merito ai talent show si potrebbe sperare in un approccio diverso: gli sviluppi di questi ultimi mesi hanno visto prendere il largo il confronto tra allievi, insegnanti, giudici. Una tendenza troppo sospetta e improvvisa per non sospettare una scelta precisa da parte degli autori.

In fondo alla classifica, invece, troviamo due sorprese. Se qualche anno fa ci avessero detto che nel giro di poche stagioni i programmi domenicali si sarebbero conquistati la palma di trasmissioni meno rissose, probabilmente avremmo riso: sono ancora vivide (e disponibili su youtube) le patetiche scene dove protagonisti e commentatori si cimentavano in un triste “tutti contro tutti”.

Allo stesso tempo sarebbe stato difficile credere che un giorno non lontano i programmi sportivi sarebbero risultati tra i meno polemici: e in effetti ancora oggi, collegandosi a una di queste trasmissioni, l’impressione è che liti e insulti avvengano ben più spesso di quattro o cinque volte l’ora.

La categoria che sorprende di più, in questa classifica, è l’informazione. Un programma della testata giornalistica dovrebbe raccontare i fatti con obiettività, o quantomeno con equilibrio e sobrietà; i conduttori dovrebbero saper mantenere alta l’attenzione senza cavalcare le polemiche, esercitando la loro autorevolezza per impedire alle discussioni di degenerare.

E invece, eccoli a pari(de)merito con i talk show, a superare la soglia delle sei risse per ogni ora di trasmissione.

Probabilmente qualche benpensante sosterrà che anche la rissa comporta lo sviluppo di una discussione, che è semplicemente un’esposizione meno garbata e più vivace di una tesi, garantita anch’essa dal diritto all’informazione. Non può che essere così, altrimenti dovremmo chiederci come mai la tendenza all’insulto e alla sopraffazione prosegua implacabile, con il benestare degli anchorman e degli ascolti.

Che non sia solo una questione di stile e di etica, ma anche un problema concreto, lo si evince dai commenti preoccupati di molti esperti interpellati da Comunicazione perbene: la situazione è giudicata “molto rischiosa”, e «secondo il 64% potrebbe avere serie ripercussioni sui comportamenti quotidiani del pubblico, a partire da bambini e adolescenti che crescono convinti che aggredire e sopraffare gli altri sia normale».

Continuare il gioco al rilancio per accaparrarsi gli spettatori puntando sui toni forti probabilmente garantirà un futuro ai programmi, ma rischia di rubarlo a chi quei programmi, per interesse o per noia, li guarda.

Sarebbe meglio uscire dal circolo vizioso prima che le conseguenze, sul piano sociale, si facciano serie.

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L’ultimo dei problemi

Posted by pj su 19 marzo 2009

«In aumento le richieste di abortire per difficoltà economiche. L’allarme arriva dalla clinica Mangiagalli di Milano». Secondo il direttore sanitario, Basilio Tiso,  «è uno degli effetti della crisi finanziaria».

«Li definiscono gli aborti senza alternative. Quelli di single co.co.co., coppie con un lavoro precario, giovani in cassa integrazione», secondo un dossier di due anni fa «il 12% delle donne che chiedono di abortire sono disoccupate, il 3% in cerca di lavoro, il 10% studentesse, il 12% casalinghe».

Insomma, conclude Tiso, «L’impressione è che ci sia un disagio crescente dovuto alla precarietà lavorativa».

Che la vita per i giovani non sia facile è sicuramente vero; proprio oggi il Corriere dedica il suo focus quotidiano alla “Gerontocrazia Italia”: prima dei quarant’anni è difficile raggiungere una posizione lavorativa rispettabile. Tirare su un figlio in questo contesto, con un paio di contratti precari e qualche lavoretto al volo, è proibitivo.

Eppure viene da pensare che il problema non sia solo questo, ma l’assenza di un progetto di vita. La domanda è poco politicamente corretta, ma sarebbe interessante sapere qual è la percentuale di donne sposate che ha richiesto l’interruzione di gravidanza. Perché il dato, va da sé, non è irrilevante.

Allevare un figlio con un co. co. co. e prospettive professionali risicate è certamente un rischio. Ma allevarlo senza una famiglia, senza sapere chi domani si sveglierà accanto a te (perché si sa, al giorno d’oggi l’amore è eterno finché dura), è un’incognita ancora più pesante.

Non è questione di matrimonio, ma di responsabilità nei confronti del partner, del nascituro, della società, e – in fondo – di noi stessi. Oggi non siamo in grado di prendere una decisione definitiva, tentati come siamo dalle mille opzioni di una vita globale e dalla chimera del rapporto ideale.

Appena il mondo non gira attorno a noi e la relazione perde qualche colpo, siamo pronti a sostituirla. Non c’è periodo di garanzia, nell’epoca del tutto e subito: il diritto al ripensamento prevale su qualsiasi altra valutazione.

Difficile, in un quadro simile, costruire qualcosa di stabile: sul piano umano, familiare, sociale, spirituale. Forse, in molti casi, le difficoltà economiche sono solo l’ultimo dei problemi.

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Ai raggi “x”

Posted by pj su 5 febbraio 2009

Scrive Michele:

Ecco l’ultima di Google sulle mappe e l’interazione con i telefonini.
Questa applicazione permette di comunicare e condividere con chi si vuole, la propria posizione, utilizzando le antenne GPS che ci sono oramai su tutti i più moderni telefoni cellulari. L’applicazione potrebbe essere molto utile ad alcuni di noi… ma il mio personale dubbio è: “come posso sapere se l’applicazione lavora anche quando io
non le do esplicito consenso?”
In fin dei conti una volta che si installa un’applicazione, questa può fare – il più delle volte – quello che vuole senza chiedere troppi permessi, e a questo punto mi troverei ad essere tracciato negli spostamenti e monitorato da chi può essere interessato a farlo.

In realtà Latitude di Google fa anche di più: non ha bisogno dell’antenna gps per individuare un cellulare; può rintracciare il segnale elaborando i dati delle celle gsm a cui siamo connessi in quel momento.

È naturale che, di fronte a un servizio così “sensibile”, nasca qualche inquietudine sull’uso che Google, o chi per lui, potrà fare della nostra traccia elettronica. Google, ma non solo lui: basta aver seguito le cronache di queste settimane per porsi qualche domanda.

Primo esempio: la settimana scorsa, nella drammatica vicenda di Guidonia, gli investigatori sono risaliti ai colpevoli della violenza proprio perché questi hanno incautamente acceso il cellulare del fidanzato della vittima.

Secondo esempio: ieri i giornali raccontavano che il signor Genchi aveva (ha?) le schede di cinque milioni di utenze telefoniche, a scopi giudiziari; non vogliamo sapere quanti siano i numeri controllati da altri intercettatori in relazione ad altre inchieste, o a motivi di sicurezza più o meno fondati.

Di fronte a notizie simili, un servizio come Latitude fa appena sorridere.

Siamo già rintracciabili e rintracciati; le nostre telefonate sono ascoltabili e ascoltate, i nostri scambi di e-mail sono setacciabili e setacciati. Insomma, vivere fuori o dentro la casa del Grande fratello non fa molta differenza. Certo, è angosciante, ed è anche poco coerente che succeda in uno stato di diritto come il nostro; però, per ora, è così. E non da oggi.

Visto un tanto, c’è un unico modo per non avere paura: essere “irreprensibili e integri, figli di Dio senza macchia in mezzo a una generazione corrotta e perversa”.

Sia chiaro, la situazione non ci rallegra, come non ci rallegrerebbe una persecuzione. Ma ci viene da pensare che non tutto il male venga per nuocere.

Infatti, chissà che la consapevolezza di essere potenzialmente osservati, ascoltati, controllati sempre e ovunque non diventi per noi uno stimolo a “risplendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita”, vivendo quindi in maniera più piena e consapevole la nostra vocazione cristiana.

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