Posts Tagged ‘Francia’
Posted by pj su 18 giugno 2010
Riecco la Fifa inflessibile, severa, rigida ed equidistante. Ne sentivamo la necessità: in un mondo del calcio dove la furbata è all’ordine del giorno, dove i soldi portano a intrallazzi e malversazioni, dove i problemi dello sport si sommano a quelli della geopolitica, ecco che la Fifa riprende il suo ruolo di custode della pace e dell’ortodossia.
Sì, ne sentivamo il bisogno: faceva troppo male sapere che Blatter e soci avevano glissato con un sorriso sul caso Henry, su quel colpo di mano voluto e rivendicato, grazie al quale la Francia aveva segnato il gol decisivo per accedere alla fase finale della Coppa del mondo. L’Irlanda aveva rivendicato i suoi diritti, esponendo le sue ragioni e chiedendo giustizia: la ripetizione della partita o l’accesso ai Mondiali come 33.ma squadra.
Blatter, come sempre, aveva sfoderato il suo sorriso da politico promettendo di pensarci, e poi come sempre aveva detto che no, non si poteva fare: chi aveva avuto, aveva avuto; chi aveva dato, aveva dato. Così parlò la Fifa in quell’occasione, e la soluzione puzzava di opportunismo, o di interessi sporcati da principi diversi rispetto a quelli rivendicati – d’accordo, erano le Olimpiadi e non i Mondiali di calcio – da De Coubertain.
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Posted by pj su 31 Maggio 2010
Forse quel giorno la commissione si è distratta. O forse il film è davvero scadente, tanto da non fare per niente paura alla maggioranza dei “giudici” deputati alla valutazione.
Sia come sia, un film horror che all’estero è stato vietato ai minori di 15 anni (Giappone), 12 (Francia), 18 (Germania), 21 (Singapore), in Italia potrà essere visto da chiunque: basterà pagare il biglietto e accomodarsi in sala senza fastidiosi controlli alla carta d’identità per verificare se lo spettatore abbia raggiunto la fatidica soglia dei 14 o dei 18 anni, i due limiti che la legge prevede in Italia per i film a rischio-sensibilità.
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Posted by pj su 2 marzo 2010
Qualche mese fa La Stampa scriveva di un sito web francese nato con l’esplicito scopo di organizzare tradimenti: le condizioni per iscriversi al servizio, infatti, comprendevano solo “essere sposati e desiderare un’esperienza extraconiugale“.
Il consueto esperto chiamato in causa per giustificare l’ingiustificabile spiega che «il sito conferma la tendenza delle coppie a essere sempre più flessibili. Si va sempre più verso la poligamia».
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Posted by pj su 15 gennaio 2010
Il terremoto ad Haiti è all’ordine del giorno sui quotidiani, sui siti, nei telegiornali.
Una tragedia immane e ancora difficilmente quantificabile che ha visto scattare subito la solidarietà del mondo intero, rimasto scosso da un dramma che – riflette Gramellini sulla Stampa – si teme possa un giorno toccare anche a noi.
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Posted by pj su 3 luglio 2009
Regalo di compleanno per Calvino: il Vaticano si unisce indirettamente ai festeggiamenti per i suoi cinquecento anni (l’illustre riformatore nacque nel 1509) riabilitandolo. Non solo: da eretico quale era fino a ieri, oggi è diventato una mente straordinaria.
Lo scrive, sull’Osservatore Romano, l’accademico di Francia Alain Besançon, secondo cui «L’organizzazione calvinista è una creazione geniale, capace di adattarsi» a ogni forma di stato e di governo, pregio che manca al contesto cattolico e al luteranesimo.
Proprio a Lutero Besançon dedica parole poco lusinghiere: se Calvino ha creato una struttura la cui “superiorità storica” e la cui “efficacia sono evidenti”, Lutero «era stato incapace di fondare una vera Chiesa». Aveva pensato fosse possibile affidarne “la guida ai prìncipi” per “far nascere una cristianità più pura e più perfetta di quella con la quale rompeva”, ma questa impostazione ha mostrato presto i suoi limiti.
Mica come Calvino, sembra esclamare Besançon, che «non condivide questa illusione e fonda un sistema ecclesiale compenetrato nella società civile ma indipendente, sottoposto al magistrato legittimo, però in grado di tenerlo a distanza e di influenzarlo».
E non solo: il ginevrino «fece profonda pulizia nei templi, tagliò nel folto delle tradizioni dogmatiche» ed «espulse il vasto magma delle devozioni popolari», aspetti che – viene da rilevare – fino a ieri non venivano visti Oltretevere con particolare favore.
Evidentemente il vento è cambiato, e di Calvino si possono evidenziare gli aspetti più brillanti: “aderisce pienamente ai simboli di Nicea e di Costantinopoli”, “professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”, “crede nella Trinità, nel peccato originale, nella salvezza attraverso Gesù Cristo”. Perfino onora Maria, oltre a credere nella presenza reale di Cristo nella Cena (pur non ammettendo, ovviamente, la transustanziazione).
E ancora “aderisce ai due principi della giustificazione per fede e della sovranità della Bibbia”, addirittura in anticipo sul Concilio di Trento.
Sì, come rileva Giacomo Galeazzi sulla Stampa, sicuramente si tratta di “una coraggiosa rilettura di Calvino“, che viene interpretata come un’apertura verso il mondo evangelico: o almeno quella parte del mondo protestante che non si sarà offesa per la descrizione di Lutero.
Quali potranno essere le conseguenze di questo nuovo corso non è facile dirlo. Una cosa è certa: a prescindere dallo scopo e dagli sviluppi, certamente non si è trattato di una mossa casuale.
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Posted by pj su 20 febbraio 2009
Cesare Battisti, “ex terrorista”, scrive una lettera aperta al nostro Paese, chiedendo: «L’Italia cristiana mi perdoni».
Ricorderete la vicenda: Battisti si macchiò di alcuni delitti molto poco politici negli anni di piombo, venne condannato in seguito a processo, e per non finire in carcere si rifugiò in Francia, che da decenni ormai ospita senza crearsi troppi problemi i terroristi nostrani, negando l’estradizione in quanto le nostre sarebbero sentenze politiche seguite a una guerra civile, e non volgari atti di terrorismo.
Dopo la Francia Battisti è migrato in Brasile, dove aspetta la sentenza dei supremi giudici sulla richiesta di estradizione avanzata dal nostro Paese.
Dal carcere di Brasilia Battisti scrive a tutti noi; nella lettera, letta pubblicamente durante una sessione del Senato brasiliano, il terrorista si chiede «se non è giunta l’ora che l’Italia mostri il suo lato cristiano», per il quale «il perdono è un atto di nobiltà». Parla di una «moltitudine manipolata» e ribadisce la sua innocenza: «non ce la faccio a pensare a me come a qualcuno capace di fare nemmeno un centesimo di tutto ciò che mi attribuiscono… Sono vittima di un bombardamento mediatico».
C’è una sentenza e ci sono numerose testimonianze che inchiodano Battisti alle sue responsabilità; tuttavia potremmo anche accettare che si tratti solo di un drammatico malinteso, di una congiura che ha voluto prendere un innocente, magari più ingenuo degli altri, per farne il capro espiatorio di una vicenda. Non sarebbe il primo caso, e nemmeno l’ultimo.
Anche ammettendo che sia così, qualcosa non torna.
Siamo consapevoli che chiedere perdono stia diventando una moda, più che una necessità: a ogni delitto bastano pochi minuti per sentire uno sprovveduto dotato di microfono chiedere ai familiari delle vittime se “hanno perdonato”.
È un’abitudine figlia di un’informazione malata, ma anche di una prospettiva concettuale distorta.
Chiedere perdono comporta, cristianamente parlando, alcuni passaggi. La riflessione sulle proprie azioni, innanzitutto, e poi il pentimento: ossia il riconoscimento dell’errore, di aver causato dolore, cui segue un cambiamento interiore in base al quale è possibile affermare con sincerità “non lo rifarei”.
Battisti si professa innocente, e questo – paradossalmente – crea un problema in relazione alla sua richiesta: per qualcosa che non si è commesso non può esistere perdono, ma solo giustizia.
E poi, l’atteggiamento di Battisti non sembra particolarmente conciliante. Non sembra pentito, ma polemico come al solito: rivendica la sua innocenza, lamenta congiure contro di lui, attacca l’Italia «governata dalla mafia».
Sicuramente è un uomo amareggiato e dolente, ma in una richiesta di perdono ci saremmo aspettati un approccio diverso: forse non un pentimento, ma almeno un briciolo di rammarico; forse non un riconoscimento delle proprie responsabilità, ma almeno qualche parola per il dolore per le vittime.
Forse non ci aspettavamo umiltà, ma nemmeno arroganza.
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Posted by pj su 22 gennaio 2009
Racconta Repubblica che in Francia «dopo i buoni pasto, arrivano i buoni psicologo. Può sembrare uno scherzo, ma non lo è: alcune aziende stanno sperimentando Oltralpe l’idea di pagare ai loro dipendenti alcune sedute di psicoterapia».
I buoni, peraltro, «valgono solo per risolvere un problema preciso, non per fare una terapia a lungo termine. Al massimo, sono previste dieci sedute: al di là, il lavoratore dovrà pagare di tasca propria».
Insomma: la psicoterapia verrà pagata dall’azienda, ma solo per problemi relativi al lavoro, non per risolvere tutte le questioni di vita del dipendente.
Sarà interessante vedere come sarà possibile discernere – e curare – le conseguenze dei problemi lavorativi tralasciando quelli personali, dato che la psiche umana non lavora a compartimenti stagni; immaginiamo che sarà un lavoraccio per gli psicologi distinguere e valutare se una questione lavorativa, magari banale, sia un problema serio per il dipendente, o soltanto la causa scatenante di un problema più ampio che prescinde dal lavoro e tocca famiglia, rapporti umani, malessere sociale: in quel caso, oltretutto, sarà un grattacapo trovare una formula convincente per suddividere il costo della cura in maniera equa all’azienda e al dipendente.
Viene anche da chiedersi quale sia il problema che ci caratterizza e ci rende così diversi dai nostri padri e i nostri nonni, tanto da dover ricorrere in via ordinaria a misure straordinarie (non a caso in molti dialetti lo psicologo viene definito “il medico dei matti”). Dovremmo capire se siamo più fragili emotivamente, se viviamo in una società così diversa e tanto più complicata rispetto a quella delle generazioni passate, o se sono le nostre relazioni interpersonali, il rapporto con i valori, l’impoverimento spirituale (e, anche, religioso) ad averci portati a questo punto.
In ogni caso l’aiuto psicologico non va necessariamente rigettato con indignazione, anzi: ben venga, se serve ad analizzare, chiarire, circoscrivere i problemi. L’importante è che non la si prenda per quello che non è: una cura dell’anima.
Per quella, infatti, c’è bisogno di guardare altrove. O, meglio, in Alto.
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