Non è un gioco
Posted by pj su 9 novembre 2006
E ora anche “Gli esclusi” ha il suo videogame. Fa parte di una tattica di marketing ormai consolidata: quelli che escono non sono semplici film, ma veri fenomeni di costume. Una volta, al massimo, si trovavano un paio di peluche dedicati ai protagonisti o qualche modellino delle astronavi presenti nella pellicola; ora, invece, l’attenzione per programmi, film, reality è a 360 gradi e comprende siti internet, forum per i fans, cd con i brani o le colonne sonore, giochi di ruolo, libri (una volta era il contrario: dal libro nasceva il film), gadget, guide e diari dei protagonisti (come per “Notte prima degli esami”), giornali dedicati, pubblicazione successiva di “dietro le quinte” e stralci inediti (come per il “Codice da Vinci”), interazione con i protagonisti. E, non ultimi, ecco i videogiochi relativi ai film d’azione. “Left behind” decisamente ispirava uno sviluppo elettronico: troppo appetitoso, per lasciarlo sfuggire, il tema del confronto tra bene e male, dei fatti (o supposti fatti) degli ultimi tempi, di quando i cristiani verranno rapiti in cielo e sulla terra comincerà la tribolazione.
“Left behind” è una nutrita collana, ormai, e anche di film; sui contenuti, sul mix tra profezie bibliche e fantasia, sull’interpretazione arbitraria dei testi apocalittici si può discutere a lungo, e già si discute da lungo tempo (negli appositi forum, ovviamente). Sarebbe inutile stare a parlarne, se l’Apocalisse risulta criptica un motivo ci sarà.
Però è interessante vedere come si può banalizzare in chiave elettronica aspetti importanti e delicati come quelli della vita cristiana: “Ai giocatori è richiesto di reclutare, e convertire, un esercito che dovrà sostenere un conflitto fisico e spirituale con l’anticristo e i seguaci del male. Lungo la strada, i giocatori raccolgono punti spirituali che sono essenziali per la vittoria”.
Convertire, visto dal computer, sembra quasi un gioco. Certo, si parla di ultimi tempi e di fatti che non viviamo ancora, ma la semplificazione resta la stessa. Portare il vangelo non è una battaglia: sarebbe troppo facile. È qualcosa di più complesso, che richiede attenzione al contesto, preparazione biblica, cura dei particolari, psicologia per comprendere il bisogno di chi sta di fronte a noi. E, soprattutto, portare il messaggio del Vangelo che richiede amore per la persona che non conosce Dio, compassione, sim-pathia, nel senso greco di coinvolgimento nei suoi problemi: non, quindi, sentimenti di vendetta, di conquista, di rapina.
Il messaggio del vangelo non è un assalto alle anime, è un massaggio alle anime.
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